Scusate il gioco di parole forse un po’ scontato ma mi è venuto spontaneo farlo pensando che sono stata invitata a raccontare la mia esperienza nel continente di ghiaccio nelle classi IVA e IVB della Scuola Primaria Dante Alighieri di Gradisca d’Isonzo (GO).
I fantastici alunni e le meravigliose insegnanti Angela, Antonella e Lorella mi hanno preparato una splendida accoglienza. Pensate che mi hanno donato un bellissimo opuscolo tutto “fatto in casa” sull’Antartide con informazioni scientifiche e attività didattiche! Ho capito subito di essere di fronte, senza il minimo dubbio, a due classi “polari”!
La presentazione sulla mia esperienza a Mario Zucchelli Station è stata seguitissima. L’argomento più gettonato è stato proprio uno dei miei preferiti: la foca di Weddell. In effetti è difficile non innamorarsi di questo incredibile animale su cui ho avuto la fortuna di lavorare.
E … finita la presentazione ho autografato almeno 30 opuscoli!
Qualche sera fa (mattina per voi tutti amici del fuso +1) durante la videoconferenza con le scuole ho finalmente risentito i “suoni di casa”. Infatti, in collegamento con Mario Zucchelli Station, c’era l’ITS Mazzocchi di Ascoli Piceno, la mia bellissima città natale.
I ragazzi, guidati dai loro disponibilissimi insegnanti che ho avuto modo di conoscere prima della mia partenza per il continente di ghiaccio, hanno tempestato di domande interessanti, talvolta impegnative, i ricercatori presenti in base. Questo post è dedicato proprio ad una di queste domande riguardo gli adattamenti al freddo e al nuoto degli animali antartici.
Ci sarebbe da scrivere un libro sull’argomento quindi “FOCAlizziamoci” sugli adattamenti della nostra beniamina e cioè la foca di Weddell.
“Per resistere alle lunghe immersioni nelle fredde acque antartiche “ ci spiega Arnol Rakaj del gruppo di ricerca sulle foche di Weddell dell’Università di Torvergata ” le foche ricorrono a particolari adattamenti. Oltre alla presenza della pelliccia, il più importante è quello dello strato di grasso (blubber) superiore ai 5 cm che avvolge l’animale. Questo strato forma un vero e proprio involucro che isola l’animale dall’ ambiente esterno; contemporaneamente, la massa grassa svolge anche la funzione di riserva energetica per i periodi in cui la caccia è meno favorevole.”
“Anche la forma tondeggiante del corpo dell’animale” continua Arnold “risulta essere il migliore compromesso tra superfice/volume, caratteristica questa tipica di molti animali endotermi dei climi freddi.”
“Un ultimo ma non meno importante adattamento morfologico è costituito dai turbinati nasali (complesse introflessioni della cavità nasale) i quali consentono all’animale di ridurre al minimo la dispersione termica durante la respirazione in un ambiente estremo come è l’Antartide.”
“Per quanto riguarda gli adattamento al nuoto e al mondo sommerso le strategie messe in atto sono anche più complesse e articolate” ci dice il nostro ricercatore “Questi animali si immergono per lunghi intervalli di tempo (superiori a 80 min) a profondità notevoli (904 m registrati nel 2008).”
“Al contrario di quello che si può pensare le riserve polmonari non costituiscono la principale riserva d’ossigeno della foca per le lunghe immersioni. Infatti, per immagazzinare l’ossigeno, le foche possono contare su una notevole quantità di sangue che arriva a costituire il 20% del volume corporeo totale (rispetto 7-8% nel caso di noi umani). Il loro sangue, inoltre, è anche molto più denso e ricco in emoglobina rispetto al nostro e può costituire, così, una consistente riserva di ossigeno.”
“Anche i muscoli contribuiscono, grazie ad una notevole quantità di mioglobina (proteina presente nel tessuto muscolare), ad aumentare la quantità di ossigeno disponibile”
Un sentito grazie ad Arnold Rakaj, giovane e promettente ricercatore con cui ho lavorato durante questo periodo a MZS, e grazie anche agli insegnanti e agli allievi dell’ITS Mazzocchi di che con il loro interesse hanno portato un po’ di Antartide ad Ascoli Piceno.
Questo post è dedicato ai ragazzi della classe “polare” IIIB dell’Istituto Comprensivo “Antonio Fogazzaro” di Como Rebbio che, guidati dalla Prof.ssa Maria Cira Veneruso, docente polare con esperienza antartica, mi hanno inviato delle domande riguardo la foca di Weddell.
Marlon mi chiede se le foche che sto studiando sono a rischio estinzione.
Le foche di Weddell, fortunatamente, non sono a rischio estinzione. L’organismo che si preoccupa di stabilire se una specie è o non a rischio si chiama IUCN (International Union of Conservation of Nature). La classificazione del rischio è questa.
ESTINTE
estinta del tutto
estinta in natura
MINACCIATE
in pericolo critico
in pericolo
vulnerabile
A BASSO RISCHIO
quasi minacciata
minor preoccupazione
La foca di Weddell, per ora, non dà “nessuna preoccupazione”!
Niccolò mi chiede se ho dormito qualche notte in un campo esterno alla base.
Si. Per questo puoi andare a leggere questo post dove spiego e faccio vedere un “campo remoto”.
La domanda di Salem è questa: l’inquinamento del pianeta ed il suo riscaldamento hanno già avuto qualche effetto sulla vita delle foche?
Per ora sembrerebbe di no ma sarebbero necessari studi più approfonditi.
Imen mi domanda quanto pesano e quanto sono grandi le foche che ho incontrato.
Certamente la taglia di una foca dipende dalla sua età e dal suo sesso. Sicuramente gli organismi più grandi che ho visto sono i maschi adulti, le femmine gravide e anche quelle che hanno appena partorito. Queste, infatti, possiedono riserve di grasso tali da permettere loro di non nutrirsi per diverse settimane mentre allattano il piccolo sul pack. Nella mia esperienza ho visto individui anche di oltre 2 metri e dal peso di oltre 500 kg. Le femmine durante l’allattamento perdono gran parte del loro peso corporeo (anche 100 kg in 3 settimane); il cucciolo, e questa è veramente una cosa fantastica da vedere, cresce a “vista d’occhio” di circa 2 kg al giorno per i primi mesi.
Sempre Imen mi chiede se ho visto partorire una foca?
Purtroppo no, ho visto però cuccioli appena nati ancora con il cordone ombelicale attaccato.
Lo so, cari studenti della IIIB, che avete inviato anche altre interessanti domande. Vi risponderò in qualche prossimo post. Voi continuate ad interessarvi alla Favolosa Antartide!
Ebbene si: ho giocato con il detto “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”! Ma credetemi :appena avrete finito di leggere questo post e visto le immagini vi renderete conto di quanto ho ragione.
Intanto considerate che una foca di Weddell adulta può pesare oltre 500 kg quindi per poterla catturare e posizionare le targhette di riconoscimento, senza dover utilizzare un’anestesia che potrebbe risultare invasiva per l’animale, l’unico modo è cercare di immobilizzarla con l’ausilio di un sacco. Infatti, una volta “finita nel sacco” la foca si calma e i ricercatori possono fare il loro lavoro. Il tutto dura pochissimi minuti e risulta molto meno fastidioso per l’animale rispetto al sistema che ricorre all’anestesia. Inoltre, in questo modo, il cucciolo e la madre non si separano mai.
Ve lo spiego subito: ogni volta che i ricercatori devono effettuare i loro studi in siti lontani dalla base viene allestito nel luogo in questione un “campo remoto” che altro non è che una tenda più grande del solito, dove si dovrà dormire, mangiare, lavarsi … insomma convivere in un piccolo spazio.
Diciamo che l’esperienza del campo remoto mette alla prova non solo la resistenza fisica per chi, come noi (e non provate a negarlo…) è abituato ad avere tutte le comodità ma anche quella psicologica. E’ infatti fondamentale che il gruppo che vive questa convivenza sia costituito da persone che cerchino di andare d’accordo tra loro lasciando da parte personalismi e pretese e facendo di tolleranza e disponibilità le parole d’ordine.
Ci sono anche dei risvolti umani, a volte, imprevedibili: si possono allacciare bellissimi rapporti con persone che a MZS (Mario Zucchelli Station), in mezzo a tante altre, spesso non hai la possibilità di conoscere bene e costruisci dei ricordi basati su emozioni che sai che solo con quelle persone potrai condividere.
Chi meglio del responsabile di questa ricerca per spiegare quello che siamo venuti a fare in quest’isola (o meglio, nel pack attorno a quest’isola) . E allora vi lascio alle parole del ricercatore esperto, nonché documentarista, nonché amico Roberto Palozzi …
E’ giunta l’ora di parlarvi del tipo di ricerca qui in Antartide a cui sono stata assegnata dal CSNA (Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide). Tenetevi forte perché si tratta di uno studio entusiasmante: una ricerca sulla foca di Weddell, animale che detiene un record: è infatti il mammifero che vive più a sud del mondo.
Il gruppo a cui sono stata affiancata è del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma Tor Vergata ed è costituito da me, Arnold Rakaj biologo marino e Roberto Palozzi ricercatore esperto sulla foca di Weddell con diverse collaborazioni con scienziati americani.
Esistono diversi studi, soprattutto di ricercatori americani, su questo mammifero ma è la prima volta che il PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) inserisce un progetto su questo animale. Possiamo quindi considerarci dei veri pionieri!
Questa ricerca prevede una parte sul campo e una parte di laboratorio. Quando dico “sul campo” intendo sul pack, cioè il ghiaccio marino, dove in questo periodo (ottobre/ novembre) le foche femmine escono da buchi e fratture per poter partorire il loro cucciolo.
Le foche e i loro cuccioli saranno pesati e marcati con delle targhette che consentiranno successivamente di poterli riconoscere. Praticamente daremo un nome alle foche di Baia Terra Nova …
Sarà prelevato anche del materiale biologico (in maniera non invasiva) in modo da caratterizzarle anche dal punto di vista genetico (non mi addentro oltre nell’argomento, per ora).
Per poter testare i materiali che saranno utilizzati nel campo remoto, allestito sull’Isola di Kay Island al centro di Baia Terra Nova, ieri abbiamo fatto dei buchi nel pack di Tethys Bay proprio davanti la Stazione Mario Zucchelli … un vero invito a nozze per le foche che cercano questi fori per poter emergere a respirare…
Per ora accontentatevi di vedere il buco già fatto. In uno dei prossimi post vi farò vedere tutte le fasi.
Tra un po’ andiamo a controllare se qualche foca è uscita fuori da questi fori … non vedo l’ora!
Attività svolta nell’ambito del Protocollo di intesa fra MIUR e MNA per diffondere le conoscenze scientifiche sulle regioni polari agli studenti di scuola secondaria e con la collaborazione del PNRA