Che bello quando dall’altra parte del video collegamento c’è una delle tue migliori amiche che, inoltre, condivide con te la passione per l’Antartide.
Il collegamento con le seconde A e D dell’Istituto Comprensivo “D. Alighieri” di Rescaldina è stato uno dei più impegnativi per i ricercatori antartici. Come poteva essere diversamente quando alla guida delle classi, preparatissime sugli argomenti polari, c’è una Prof. “super polare” come l’amica Piera Ciceri che già da tempo ha iniziato con questi “mini scienziati” un percorso didattico sulla “favolosa Antartide”.
E allora questo post è tutto dedicato a loro che lo scorso anno scolastico hanno messo in scena davanti un pubblico entusiasta (tra cui ho avuto la fortuna di esserci anche io) un pezzo di teatro-scienza dedicato alla mirabolante avventura di Ernest Shackleton e la sua nave Endurance (se non la conoscete dovete assolutamente informarvi perché veramente se di “mitologia antartica” si può parlare non si può fare a meno di menzionare l’impresa di questo esploratore antartico!)
Vi lascio alle parole scritte direttamente da questi attori in erba che, secondo me, sono più convincenti di qualsiasi cosa io possa dirvi.
Ci rimane solo da chiedere: a quando le repliche?
Presto detto! Il 12 maggio a Milano ad Expo 2015, padiglione Italia, lo spettacolo “Uomini e scienza ai confini del mondo” una storia vera quasi al 100% verrà replicato.
Per quanto mi riguarda cercherò di non mancare!
Intanto cari ragazzi complimenti a voi e alle vostre fantastiche insegnanti! Se il buongiorno si vede dal mattino …
Come non commuoversi quando, a quasi 16 mila km di distanza da casa, nel periodo natalizio, una classe come la III A di Bancole dell’ Istituto Comprensivo di Porto Mantovano invia degli auguri di buone feste così belli!?
Grazie bambini da parte di tutti i ricercatori e di tutto il personale della XXX Spedizione Italiana in Antartide. E tante grazie anche al “polarissimo” maestro tecnologico Giancarlo. Ci avete regalato un momento veramente magico!
Particolarmente ricco di spunti il collegamento effettuato con il Liceo Scientifico “A. Einstein” di Rimini dove gli studenti, guidati dalla Prof.ssa Emma Gabellini, hanno impegnato i ricercatori in diversi ambiti. E non solo i ricercatori! Infatti la domanda degli studenti, a cui è dedicato il post, riguarda un aspetto importantissimo qui in Antartide e cioè l’assistenza sanitaria.
Stare quattro mesi in un ambiente come quello antartico espone a diversi tipi di problemi sanitari . Inoltre, in caso di emergenza, è evidentemente impossibile rientrare tempestivamente in Italia per curarsi. E’ per questo che qui a MZS, in mezzo a tanta neve, c’è – è proprio il caso – di dirlo un’assistenza sanitaria “con i fiocchi” !
“In base siamo 2 medici ed un infermiere “ci spiega il colonnello Sergio Fulvio, Ufficiale Medico dell’Aeronautica Militare, responsabile del servizio sanitario di Mario Zucchelli Station “ e la nostra attività consiste nell’assicurare la normale assistenza sanitaria ma anche coordinare gli interventi di pronto soccorso sia in base che fuori dalla base.”
“Il presidio sanitario di MZS “continua Sergio” è costituito da due ambienti: un’infermeria per le visite di routine ed una vera e propria sala chirurgica attrezzata anche per gli interventi più delicati.”
E’ possibile fare anche radiografie e analisi che, con un collegamento di telemedicina con il Policlinico Gemelli di Roma, è possibile far visionare a specialisti italiani per una consulenza .”
Penso che la fortuna di avere due medici e un infermiere a disposizione che ti visitano e ti curano nell’arco di 10 minuti, senza prenotazioni e liste di attesa, sia il sogno di ogni italiano … beh, in Antartide questo sogno è una realtà!
A volte i video-collegamenti regalano delle emozioni inaspettate: è il caso in cui tra gli studenti c’è il figlio di un partecipante alla spedizione.
E questo è proprio successo circa una settimana fa, quando ci siamo collegati con una classe della Scuola Primaria “Damiano Chiesa” di Pisa frequentata dal figlio del ricercatore e amico Sandro Francesconi, dell’Università di Pisa, persona splendida a cui dedico questo post.
Il video-collegamento sarebbe dovuto avvenire nell’ ultima sera di permanenza di Sandro in base prima di partire con la nave coreana Araon per tornare in Nuova Zelanda ma … l’imbarco è stato anticipato al giorno prima per cui noi, dalla sala operativa, ci siamo collegati con la scuola e Sandro era con noi “via radio” dalla nave che a qualche km da noi oltre il pack.
I bambini hanno fatto domande sul clima e gli animali ma anche sulla vita del ricercatore in Antartide.
Qualche lacrimuccia è stata versata in sala operativa quando il figlio di Sandro ha salutato il padre, che non abbraccia da 2 mesi, da 15.000 km di distanza.
Cosa dire? La vita del ricercatore e del personale logistico “antartico”, cari bambini e lettori tutti, è anche questa: un lungo distacco dalla famiglia, spesso coincidente con le feste natalizie, tutto per amore della ricerca in questo spettacolare continente all’altra estremità del mondo.
Caro Sandro, ti auguriamo tutti quanti di passare le restanti feste in serenità con la tua famiglia. E questo vale anche per tutti gli altri amici che sono partiti con la nave Araon.
La scorsa settimana si è svolto, non con una certa emozione da parte mia, il videocollegamento tra MZS e il Liceo Scientifico “A. Orsini” di Ascoli Piceno, la scuola che mi ha visto sui banchi come studentessa.
Le molte classi coinvolte dalle insegnanti del dipartimento di Scienze, che ringrazio personalmente, hanno impegnato i ricercatori e i meteorologi dell’Aeronautica Militare su diverse interessanti tematiche.
La domanda alla quale, però, è dedicato il post riguarda il “viaggio” per arrivare in Antartide. Io, oramai tanto tempo fa, vi ho parlato del mio viaggio per raggiungere MZS. Un viaggio lungo ma, in effetti, non troppo faticoso, tutto tramite mezzi aerei.
Quando però sul pack davanti la base gli aerei non possono più atterrare perché è diventato troppo sottile, allora da Christchurch o Hobart, i partecipanti alla spedizione partono in nave.
Ecco il breve resconto di uno dei ricercatori, Angelo Galeandro del Politecnico di Bari, che ha voluto condividere con FabAnt “gioie e dolori” del suo viaggio via mare.
Sono partito dall’Italia domenica 30 novembre. Il piano di volo prevedeva lo scalo in diversi aeroporti (Roma, Londra, Dubai per una sosta tecnica necessaria per il rifornimento dell’aereo, Sydney) prima di arrivare ad Hobart, in Tasmania, un’isola situata a sud dell’Australia. Tra tempo di volo e soste, il viaggio in aereo è durato quasi 48 ore. Eravamo in 11 ad essere diretti in Antartide, 8 persone alla base italo-francese Concordia, 3 alla base Mario Zucchelli. Ad Hobart ci siamo divisi, 6 (tra cui io) sono stati imbarcati sull’Astrolabe, una piccola nave francese diretta alla base francese Dumont D’Urville, i restanti 5 hanno proseguito in aereo per Casey (la base australiana).
Dopo essere rimasti ad Hobart per 4 giorni, a causa di problemi al generatore della nave, siamo salpati sabato 6 dicembre alle 10 del mattino. Tutti e 6 eravamo stati messi in una piccolissima stanza, che dovevamo condividere con i bagagli personali ed i bagagli con gli indumenti da indossare in Antartide. L’Astrolabe è una nave dal fondo piatto e, per questo, molto “sensibile” al moto ondoso. Non per niente, nel corso del tempo si è guadagnata l’appellativo di “Gastrolabe” per le numerose vittime del mal di mare che ha fatto negli anni. E infatti, nonostante il bel tempo e il mare poco agitato, diversi di noi sono stati male.
Il viaggio, che sembrava non avere mai fine, è durato complessivamente 6 giorni. Il 5° giorno siamo arrivati finalmente in acque non mosse e costellate da lastre di ghiaccio alla deriva.
Avvicinandoci alla costa, siamo passati tra enormi iceberg, alcuni alti anche fino ad un centinaio di metri. Su diverse lastre erano “parcheggiati” pinguini di Adelia, pinguini imperatore, foche. In acqua abbiamo visto anche una balena e, forse, un’orca.
Sbarcati a Dumont D’Urville, il giorno dopo ci hanno trasferiti con un piccolo aereo chiamato Twin Otter alla base Mario Zucchelli, destinazione finale, dove siamo arrivati domenica 14 dicembre. Eravamo stati in viaggio per 15 giorni, alcuni dei quali terribili a causa del mal di mare, ma alla fine la soddisfazione di aver raggiunto un posto che suscita emozioni difficilmente esprimibili a parole.
Grazie ad Angelo per averci raccontato la sua esperienza. Anche io ripartirò dall’Antartide via mare … speriamo bene!
Nella scorsa settimana sono stati molti i collegamenti con le scuole del progetto “Adotta una Scuola dall’Antartide” del PNRA (Programma Nazionale di Ricerca in Antartide), a volte anche due per sera.
La settimana di videocollegamenti è stata aperta dagli studenti delle classi IA e IB CAT dell’Istituto Ghisleri di Cremona guidati dalla loro “polarissima” insegnante, nonché amica, Maria Laura Beltrami.
Alcune delle domande si sono concentrate sulla struttura della base Mario Zucchelli, che è stata la mia casa per questi due mesi e a cui è dedicato questo post.
“La struttura della Base Mario Zucchelli “ci spiega il capo spedizione Franco Ricci” è composta da un corpo centrale a due piani con una pianta a forma di “T”. Al primo piano ci sono i laboratori scientifici, sul lato lungo, e dall’altro lato, coesistono mensa, zona lavanderia, bar, cucine, sale fumatori e non fumatori e la zona notte.”
“La parte superiore” continua Franco ” è strutturata in modo da avere la Sala utenti dei computer, la sala conferenze maggiore, la sala conferenze minore, la sala calcolo, la sala geologi, i laboratori di elettronica e telecomunicazioni unitamente agli uffici della Direzione e le facilities telefoniche. Sopra a tutto ciò c’è la Sala operativa che è stata studiata e realizzata in modo da avere una visuale su 360 gradi.”
“La Base “Mario Zucchelli “continua a raccontarci Franco Ricci “è titolata in memoria del compianto ingegnere che ha seguito questo progetto fin dai primi anni è stata costruita in questo luogo perché, nelle ispezioni precedenti la progettazione, il Prof. Carlo Stocchino, anche lui grande figura dell’Antartide e grande scienziato, unitamente ad altri esperti, capì subito che il posto era perfetto per l’edificazione di una Base. Infatti, Il posto è incantevole e la vicinanza del mare, favorisce tutte quelle attività di ricerca legate alla biologia marina. Inoltre, la posizione è particolarmente adatta per i collegamenti aerei continentali con le altre Basi e con Concordia.
Il luogo, ha un privilegio unico al mondo per quanto riguarda il panorama. Si vede il Melbourne, un vulcano quiescente alto circa 3000 metri, il Campbell, una lingua di ghiaccio che si estende nel mare blu cobalto, quando il pack, ormai, è solo un ricordo invernale ed il cielo terso di un blu celestiale e cristallino strisciato da pennellate di nubi dalla forma inusuale. Insomma una vera tela dipinta da un artista mai nato”
E guardando la prossima foto come dare torto al nostro capo spedizione?!
Questo post è dedicato alla “mitica” IIIA dell’I.C. “B Citriniti” di Soveria Simeri e alla loro Professoressa Donata Perri, che nella posta di Fabant qualche settimana fa mi hanno chiesto di misurare l’ombra di un bastone lungo un metro a mezzogiorno qui in Antartide.
Vi starete chiedendo il perché questa richiesta, non è vero? La risposta è che la nostra IIIA sta partecipando ad un progetto che coinvolge scuole di tutto il mondo che si chiama “Sun Shadow” proposto dal Museo Nazionale dell’Antartide e dalla belga International Polar Foundation.
I ragazzi misurano l’ombra di uno “gnomone” a mezzogiorno in determinati giorni dell’anno e inseriscono i dati in un archivio mondiale.
Ma non è finita: servendosi di un quadrante, i ragazzi misurano l’altezza del Sole , cioè l’angolo tra il piano dell’orizzonte e la nostra stella.
Queste misurazioni, ripetute diverse volte durante l’anno, consentono di costruire dei grafici che aiutano gli studenti a capire le relazioni tra movimenti del Sole, latitudine, irraggiamento, alternanza delle stagioni.
E come potevo tirarmi indietro alla richiesta di una classe “polare” così motivata?!
E allora eccomi alle 12:03 del 21 dicembre (giusto per la cronaca: quasi il momento esatto del solstizio d’estate per chi come me si trova nell’emisfero australe, solstizio d’inverno per chi si trova in quello boreale) a misurare l’ombra dello gnomone.
Nella foto sopra mi trovo al campo remoto di Edmonson Point dove vive una colonia di Pinguini di Adelia oggetto di una ricerca a lungo termine del PNRA (Programma Nazionale di Ricerca in Antartide).
E per finire vi invio le coordinate del punto in cui ho preso la misura.
Ops …stavo dimenticando la misura: l’ombra proiettata dallo gnomone era lunga 120,5 cm.
Grazie ancora ai ragazzi di Soveria Simeri e se volete saperne di più sull’attività “Sun Shadow” cliccate qui.
Qualche sera fa è stata la volta degli studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale “C. Deganutti” di Udine a collegarsi con Mario Zucchelli Station.
Gli allievi, guidati dal loro insegnante di Scienze (nonché mio collega ed amico) Roberto Basana hanno concentrato le loro domande sulla situazione logistica della stazione di ricerca ma soprattutto sugli aspetti geologici del continente di ghiaccio (non per niente il Professor Basana è un geologo!).
E allora questo post dedicato agli studenti di Udine cercherà di rispondere ad una loro domanda: ci sono i terremoti in Antartide?
“In Antartide, ad eccezione della penisola antartica, i terremoti sono molto rari e di bassa magnitudo” ci spiega Samuele Agostini, ricercatore dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa “Pensate che nel database dei terremoti USGS , dal 2010 ad oggi in tutto il continente antartico sono stati rilevati solo 7 terremoti con magnitudo superiore a 4 quando già solo nella molto più piccola Italia ogni anno se ne registrano centinaia”.
E allora, se ci sono così pochi terremoti, perché qui nei pressi della stazione Mario Zucchelli è presente una “grotta sismica” dove sono posizionati dei sismografi?
“E’ utilissimo avere una stazione sismografica in Antartide” ci spiega Francesco Pongetti, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma “in quanto le praticamente nulle attività antropiche e i rari terremoti locali fanno sì che i sismografi collocati al suo interno diano dei grafici molto puliti di grandi terremoti che avvengono anche a migliaia di km di distanza. Questi dati vengono poi utilizzati per ricostruire il modello interno del nostro pianeta.”
Questo post è dedicato alla classe “polare” III dell’Istituto Comprensivo “B. Citriniti” di Soveria Simeri (Catanzaro) che mi ha inviato le foto di una bellissima attività su uno degli argomenti più affascinanti di cui ci si possa interessare: l’esplorazione dell’Antartide.
Lo so, avrei dovuto pubblicarlo l’altro ieri… ma meglio tardi che mai! Infatti il 14 dicembre del 1911 l’esploratore Roald Amundsen raggiungeva, primo nel mondo, il polo Sud geografico seguito, circa un mese dopo, da un altro esploratore polare, Robert Falcon Scott tragicamente morto durante la via del ritorno con gli altri componenti della spedizione. La storia di queste due spedizioni è raccontata in decine di libri oltre che dai diari degli stessi partecipanti. Inoltre la macchina fotografica e la videocamera erano già in uso agli inizi del ‘900 e c’era sempre un fotografo a documentare questi viaggi di esplorazione. Questo ci consente di “vedere in faccia” i protagonisti di queste vicende e di sentirli, come dire, più “veri”.
Ma non finisce qui l’interesse di questa fantastica classe “polare” per il nostro continente preferito. Guardate, sempre guidati dalla loro insegnante Donata Perri, che cosa hanno realizzato. E quando la creatività e la scienza si incontrano viene sempre fuori qualcosa di “fabulous”!!!
Qualche sera fa (mattina per voi tutti amici del fuso +1) durante la videoconferenza con le scuole ho finalmente risentito i “suoni di casa”. Infatti, in collegamento con Mario Zucchelli Station, c’era l’ITS Mazzocchi di Ascoli Piceno, la mia bellissima città natale.
I ragazzi, guidati dai loro disponibilissimi insegnanti che ho avuto modo di conoscere prima della mia partenza per il continente di ghiaccio, hanno tempestato di domande interessanti, talvolta impegnative, i ricercatori presenti in base. Questo post è dedicato proprio ad una di queste domande riguardo gli adattamenti al freddo e al nuoto degli animali antartici.
Ci sarebbe da scrivere un libro sull’argomento quindi “FOCAlizziamoci” sugli adattamenti della nostra beniamina e cioè la foca di Weddell.
“Per resistere alle lunghe immersioni nelle fredde acque antartiche “ ci spiega Arnol Rakaj del gruppo di ricerca sulle foche di Weddell dell’Università di Torvergata ” le foche ricorrono a particolari adattamenti. Oltre alla presenza della pelliccia, il più importante è quello dello strato di grasso (blubber) superiore ai 5 cm che avvolge l’animale. Questo strato forma un vero e proprio involucro che isola l’animale dall’ ambiente esterno; contemporaneamente, la massa grassa svolge anche la funzione di riserva energetica per i periodi in cui la caccia è meno favorevole.”
“Anche la forma tondeggiante del corpo dell’animale” continua Arnold “risulta essere il migliore compromesso tra superfice/volume, caratteristica questa tipica di molti animali endotermi dei climi freddi.”
“Un ultimo ma non meno importante adattamento morfologico è costituito dai turbinati nasali (complesse introflessioni della cavità nasale) i quali consentono all’animale di ridurre al minimo la dispersione termica durante la respirazione in un ambiente estremo come è l’Antartide.”
“Per quanto riguarda gli adattamento al nuoto e al mondo sommerso le strategie messe in atto sono anche più complesse e articolate” ci dice il nostro ricercatore “Questi animali si immergono per lunghi intervalli di tempo (superiori a 80 min) a profondità notevoli (904 m registrati nel 2008).”
“Al contrario di quello che si può pensare le riserve polmonari non costituiscono la principale riserva d’ossigeno della foca per le lunghe immersioni. Infatti, per immagazzinare l’ossigeno, le foche possono contare su una notevole quantità di sangue che arriva a costituire il 20% del volume corporeo totale (rispetto 7-8% nel caso di noi umani). Il loro sangue, inoltre, è anche molto più denso e ricco in emoglobina rispetto al nostro e può costituire, così, una consistente riserva di ossigeno.”
“Anche i muscoli contribuiscono, grazie ad una notevole quantità di mioglobina (proteina presente nel tessuto muscolare), ad aumentare la quantità di ossigeno disponibile”
Un sentito grazie ad Arnold Rakaj, giovane e promettente ricercatore con cui ho lavorato durante questo periodo a MZS, e grazie anche agli insegnanti e agli allievi dell’ITS Mazzocchi di che con il loro interesse hanno portato un po’ di Antartide ad Ascoli Piceno.
Attività svolta nell’ambito del Protocollo di intesa fra MIUR e MNA per diffondere le conoscenze scientifiche sulle regioni polari agli studenti di scuola secondaria e con la collaborazione del PNRA